Rivista "IBC" XXII, 2014, 2

territorio e beni architettonici-ambientali / itinerari, progetti e realizzazioni, restauri

Nel capoluogo emiliano-romagnolo è in corso un progetto di censimento e di studio del patrimonio architettonico costituito dalle antiche conserve da neve.
Il cuore freddo di Bologna

Federica Benatti
[architetto, curatrice del progetto "Il cuore freddo di Bologna"]
Michela Biancardi
[architetto, curatrice del progetto "Il cuore freddo di Bologna"]
Angela Cazzoli
[architetto, curatrice del progetto "Il cuore freddo di Bologna"]
Marina Giuffrè
[architetto, curatrice del progetto "Il cuore freddo di Bologna"]
Ramona Loffredo
[architetto, curatrice del progetto "Il cuore freddo di Bologna"]
Nike Maragucci
[architetto, curatrice del progetto "Il cuore freddo di Bologna"]

Nella città di Bologna esiste una realtà sottoesposta ed esposta sotto, fatta di luoghi introversi - sotterranei o seminterrati - estranei all'abitudine e alla frequentazione. Si tratta di architetture che non assolvono più alla funzione per cui sono state progettate, costruite e usate. Spesso abbandonate, rischiano di essere dimenticate; di questo rischio c'è traccia anche nella scelta stessa del nome con cui le identifichiamo. Le chiamiamo "ghiacciaie" ma in realtà sono conserve da neve, cioè strutture nate per conservare il ghiaccio nel periodo estivo, e per ospitare un ambiente, con una bassa temperatura, idoneo alla conservazione delle derrate alimentari deperibili (carni, pesce, latte, verdure, birra, eccetera).

Le conserve hanno spesso una storia che le accomuna: sono nate, in gran parte, in risposta alla necessità di dotare un altro edificio di uno spazio indispensabile all'economia domestica o all'attività commerciale, sono state modificate per necessità o dall'uso, e infine sono state abbandonate perché un elettrodomestico, il frigorifero, le ha sostituite nella funzione. Sono, quindi, architetture morte? Contro ogni apparenza possiamo rispondere di no. Lo spazio interno è vuoto ma ancora parla una lingua, fatta di silenzi e di tempo sospeso, tipica di un luogo deputato ad accogliere e a proteggere il ghiaccio, che non è altro che "acqua che è rimasta fuori al freddo e si è addormentata". (John Garland Pollard).


"Il cuore freddo di Bologna"

La storia delle conserve non è facilmente ricostruibile: un po' a causa della facilità con cui sfuggono ai censimenti, alle catalogazioni, alle annotazioni catastali, e un po' perché si mostrano raramente nella loro interezza. Alcuni elementi, i più fragili, sono andati perduti. È sempre più raro riscontrare ancora la presenza delle porte, delle scansie per la conservazione degli alimenti, del graticcio destinato a separare il ghiaccio dalla pavimentazione, e delle scale utili a raggiungere il fondo della camera del ghiaccio. Il pozzo smaltitoio è spesso occultato dai detriti.

Mancano elementi importanti e la prosa rischia di non essere più eloquente. Per ridare voce a questi spazi, nel 2010, per volontà di sei architetti bolognesi di nascita o di adozione, è nato un progetto denominato "Il cuore freddo di Bologna", che si basa su una serrata e rigorosa campagna di censimento, catalogazione e rilievo di tutte le architetture destinate alla produzione, al deposito e alla vendita del ghiaccio e dei suoi derivati a Bologna e provincia.

I dati desunti dalle ricerche d'archivio, ancora in corso, hanno permesso l'individuazione di oltre 80 conserve nella sola città di Bologna, e di altre 40 nella provincia. Questi numeri sono stati accresciuti grazie alle segnalazioni emerse durante gli eventi organizzati per la divulgazione del progetto (mostre, visite guidate, eccetera) e grazie ai sopralluoghi. Le conserve seminterrate sono facilmente identificabili per via della caratteristica collinetta alberata che le sovrasta e che ne segnala inequivocabilmente la presenza. Più difficile è l'individuazione delle conserve totalmente interrate. In alcuni casi arriva in nostro aiuto la letteratura tecnica, che oltre a fornire delucidazioni sulle caratteristiche tecnico-costruttive e sul funzionamento, offre elementi utili a individuare i luoghi e gli edifici che potrebbero ospitarle.

Considerando la variegata orografia del territorio bolognese, la campagna di censimento ha dimostrato che le conserve erano manufatti largamente diffusi, sia in città che in campagna, sia in pianura che in collina e in montagna. Ricoprivano un ruolo fondamentale nel ciclo produttivo agricolo, nella vita domestica sia cittadina che campestre, in alcune attività commerciali, nel campo medicale e non da ultimo nel campo culinario, prima esclusivamente riservate alle classi nobili, poi appannaggio anche della classe borghese.

La campagna di rilievo metrico e fotografico, effettuata per ora su una trentina di conserve, ha permesso di conoscere dati quantitativi e qualitativi oltre a fornire elementi utili al riconoscimento delle principali caratteristiche tipologiche e costruttive. Nel contempo si è cercato di reperire notizie direttamente dai proprietari privati e pubblici, ma anche preziosissime testimonianze da parte di chi ha assistito per ultimo al riempimento di una conserva, quando si era ormai sulla soglia del definitivo ingresso del frigorifero domestico nel nostro quotidiano. Tutti i dati raccolti sono confluiti in apposite schede di catalogazione.


Identikit di una conserva

In generale si può affermare che una conserva è un ambiente scavato nel terreno, con pianta circolare e con copertura a volta, a cui si accede tramite un vestibolo. Una prima distinzione tipologica è data dalla quota del terreno rispetto alla quale le conserve sono costruite. È chiaro che le diverse caratteristiche del terreno di sedime ne influenzano in modo preponderante la tipologia. Infatti, dove si hanno terreni più umidi, dove il livello dell'acqua sotterranea è più alto, si trovano conserve seminterrate o costruite totalmente fuori terra, mentre dove il terreno si presenta particolarmente asciutto sono costruite totalmente interrate.

La quota alla quale la conserva si trova rispetto al terreno determina anche la modalità di accesso e il conseguente rapporto con l'edificio di cui è pertinenza. Nelle conserve totalmente interrate l'accesso avviene attraverso un corridoio di collegamento al piano interrato dell'edificio di riferimento, generalmente destinato a ospitare i locali di servizio (cucine, cantine, depositi). Il corridoio, chiuso alle estremità da due porte in legno, funge da vestibolo e mette in comunicazione con la camera del ghiaccio attraverso una rampa di scale realizzata in mattoni. Un esempio di questa soluzione è offerto dalla conserva interrata di villa Bernaroli a Borgo Panigale.

È interessante notare come la camera del ghiaccio non è quasi mai aderente all'edificio di riferimento: in questo modo, infatti, la conserva risulta completamente circondata dal terreno, che svolge una funzione fondamentale nel conservare la temperatura costante all'interno e allo stesso tempo funge da isolante naturale nei confronti dei locali dell'edificio a cui è collegata.

Alla tipologia interrata appartengono anche le conserve realizzate sfruttando il pendio di una collina. Esse risultano interrate, ma non sempre conservano il legame con l'edificio di riferimento. Ne è un esempio la conserva di palazzo Loup a Loiano, che, risultando isolata rispetto all'edificio principale, non presenta il caratteristico corridoio di collegamento.

Le conserve seminterrate, molto diffuse nella zona della pianura, al contrario di quelle interrate non hanno solitamente un collegamento diretto con l'edificio di cui sono pertinenza. Esse si possono definire pertinenziali al fondo agricolo di cui fanno parte, o parti integranti di parchi o giardini. Il loro ingresso è generalmente unico e sempre orientato a nord, in modo da essere riparato dai raggi solari.

Alla conserva, in questo caso, si accede attraverso una porta spessa di legname, che immette in un vestibolo o "ricetto", coperto generalmente da una volta a botte, di lunghezza non inferiore al metro sul cui fondo si apre un'altra porta che immette direttamente nella camera del ghiaccio.

Nella costruzione delle porte si lasciava sempre un certo gioco da colmare con una treccia di paglia fissata al battente dell'uscio per evitare che le dilatazioni provocate dall'umidità ne impedissero l'apertura. Nonostante sia questa la tipologia più diffusa (pur se con diverse profondità dell'ambiente vestibolare: da circa 1 metro fino ai 3 metri della conserva di villa Terracini a Sala Bolognese), sono state individuate anche conserve in cui il vestibolo risulta praticamente assente. Nella conserva di palazzo Albergati a Zola Predosa, infatti, è presente solo la porta esterna che immette direttamente nella camera del ghiaccio.

La copertura del vestibolo è realizzata generalmente con un tetto a due falde coperto da tegole. Nella maggior parte dei casi, essendo la conserva un edificio funzionale, l'impaginato della facciata del vestibolo è sobrio. Nei casi in cui, però, la conserva sia inserita in un parco nelle vicinanze di un edificio importante (un palazzo, una villa), allora si evidenziano caratteri più ricercati.

Si può quindi passare dalla semplice facciata priva di elementi decorativi della conserva di palazzo Albergati a Zola Predosa, alla facciata della conserva di villa Rorà a San Lazzaro di Savena, definita da un sistema timpanato e da semplici specchiature, sino ad arrivare alla facciata più complessa della conserva di villa Terracini a Sala Bolognese, il cui ingresso è definito da due semicolonne sormontate da una balaustra che delimita un piccolo poggio costruito al di sopra della volta a botte del vestibolo. In quest'ultimo caso, un piccolo sentiero conduceva sino alla sommità della collinetta, che diventava punto di sosta e di vista privilegiato per l'osservazione della campagna circostante. Una soluzione analoga è stata riscontrata anche nel caso della conserva di palazzo Stella a Crespellano, dove esistono ancora tracce del sentiero e della balaustra in ferro battuto. Ancora più singolari le soluzioni progettate per la conserva di villa Malvezzi a Bagnarola di Budrio, dove sulla sommità della collina è presente un obelisco, o per la conserva di torre Gnudi ad Altedo, dove troviamo una torre di avvistamento.

La collinetta, oltre a essere elemento caratterizzante del paesaggio, ha una funzione essenziale nel mantenimento della temperatura ottimale all'interno della conserva. Lo strato di terra, infatti, rappresenta un isolante e permette di mettere a dimora alberi di alto fusto, densi di fogliame, e un fitto sottobosco, utili a creare un'ampia zona d'ombra nel periodo estivo, così da ridurre gli effetti negativi del soleggiamento. Questa "coperta" di terra e vegetazione, con il decadere della funzionalità dell'edificio e la progressiva odierna mancanza di manutenzione, tende in alcuni casi a scivolare via a causa sia del dilavamento della pioggia, sia della spinta delle radici, mettendo così a nudo la parte strutturale della conserva. Questo processo naturale, in alcuni casi, è stato accentuato artificialmente, tanto da arrivare a scoprire completamente tutta la parte fuori terra, come nel caso della conserva di via del Terrapieno a Bologna.


In attesa dell'inverno, di un nuovo pieno

Quasi tutte le conserve censite, con le loro somiglianze e con le loro differenze, attendono una nuova stagione d'uso.

In origine la vita di una conserva seguiva il ritmo delle stagioni: in inverno, nel silenzio e nel buio, questa costruzione attendeva l'arrivo di una quantità di neve sufficiente a coprire la nuda terra circostante, con la consapevolezza che un materiale "senza alcun valore intrinseco come il ghiaccio" (Sigfried Giedion) era capace di diventare, una volta conservato, un bene prezioso. In inverno l'apertura delle porte del vestibolo era il segnale che la neve era stata raccolta o che il ghiaccio era stato acquistato. Per alcune ore il rumore delle operazioni di caricamento rubava lo spazio al silenzio, per poi restituirlo all'uscita degli operai e alla chiusura delle porte. La conserva era piena e pronta ad assolvere la sua funzione.

In primavera, mentre la natura si risvegliava, la conserva, con il suo prezioso cuore freddo, si addormentava in attesa del risveglio estivo. L'apertura delle porte per le operazioni di inserimento e di prelievo delle derrate alimentari e per qualche piccola manutenzione segnava l'arrivo dell'estate, la stagione di maggior dialogo di questa architettura con l'edificio di cui era pertinenza e con i suoi abitanti. L'uso assiduo si esauriva con l'arrivo dell'autunno, che comportava prima un'intensificazione delle opere di manutenzione e di pulizia e poi l'assenza di interventi. Calava nuovamente il silenzio in attesa di un nuovo inverno, di un nuovo pieno, di un nuovo inizio.

Oggi le conserve, private della loro funzione, sono come sospese in un eterno autunno, in attesa dell'inverno, di quel nuovo inizio che può arrivare solo con una nuova funzione: la ricerca di nuove forme d'uso è uno tra i prossimi obiettivi del progetto "Il cuore freddo di Bologna".



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