Rivista "IBC" XXII, 2014, 1

biblioteche e archivi / immagini, pubblicazioni, restauri, storie e personaggi

Nelle fotografie di Agostino Lelli-Mami rivive l’incanto di Cesenatico agli inizi del Novecento. Un patrimonio di immagini da riscoprire, anche grazie al restauro virtuale che le rende più leggibili.
La spiaggia ritrovata

Giusy Arvizzigno
[laureata in Storia dell'arte all'Università di Bologna]
Riccardo Vlahov
[fotografo]

Foto-mosaico

La piccola città di Cesenatico, nata e cresciuta attorno al suo porto canale, si trova all’improvviso, tra gli ultimi anni dell’Ottocento e gli anni Trenta del Novecento, di fronte a un suo nuovo e formidabile sviluppo. Un periodo di transizione durato solo pochi decenni, ma tale da produrre profondi mutamenti nel territorio e nella vita dei suoi abitanti, trasformando in breve tempo il piccolo borgo marinaro in una fiorente città turistica.

Situazioni come questa sono difficilmente rappresentabili con una sola immagine fotografica; ne richiedono parecchie, collegate coerentemente tra loro fino a formare un racconto per immagini multiple, una sorta di foto-mosaico, fortemente espressivo e ricco di molteplici contenuti informativi, come quello proposto nel volume pubblicato nel dicembre dello scorso anno, dal titolo Cesenatico agli inizi del Novecento nelle fotografie di Agostino Lelli-Mami. 1

L’autore di queste rare immagini storiche ben conosceva la bellezza del luogo, abitando a Cesena, a pochi chilometri di distanza. Appassionato di viaggi e di fotografia, prolunga nel tempo, per alcuni decenni, il breve percorso tra Cesena e Cesenatico, fino a farlo diventare, reiterandolo frequentemente, uno dei suoi viaggi più lunghi e più produttivi dal punto di vista fotografico.

Non era un fotografo professionista, nel senso che non traeva profitto e sostentamento dalle immagini prodotte; era un “dilettante fotografo”, come allora veniva definito chi fotografava esclusivamente per diletto. La fotografia era, all’epoca, per chiunque desiderasse ottenere dei buoni risultati, un’attività impegnativa e costosa, ben altro rispetto alle comode, vantaggiose ed economiche tecnologie disponibili negli ultimi decenni del ventesimo secolo, o rispetto all’estrema praticità dell’attuale sistema “digitale”. La fotografia imponeva preparazione, apprendistato, disponibilità di tempo e di danaro; non era certo alla portata di tutti. Molti dilettanti di allora, appartenenti alle classi sociali più elevate, fotografavano come i professionisti e talvolta ancor meglio, impiegando abilmente attrezzature professionali e materiali sensibili di ottimo livello qualitativo, ma operando senza strette limitazioni di tempo e disponendo di una libertà d’azione assai maggiore.

Agostino Lelli-Mami si era diplomato in pittura al Regio Istituto di Belle Arti di Firenze e abitualmente dipingeva; questa attività artistica, che precede quella fotografica, lascia evidenti tracce nell’aspetto particolarmente armonioso e gradevole di alcune immagini, squisitamente pittoriche, facilmente rilevabili all’interno del portfolio pubblicato, di cui qui si propone una selezione. Sarebbe però un grave errore definirlo fotografo “pittoricista”, perché lo vediamo operare assai più spesso come fotoreporter, pronto a cogliere al volo momenti e situazioni che non lasciano tempo e spazio alla predisposizione di un rigoroso assetto compositivo nell’inquadratura fotografica.

Questa rapidità e questa prontezza nel fermare l’attimo fuggente richiama alla memoria famosi fotografi del Novecento dotati di fotocamere particolarmente adatte al reportage, progettate per utilizzare negativi su supporto flessibile, per ricaricare l’otturatore contemporaneamente all’avanzamento della pellicola, per essere subito pronte a un nuovo scatto. Agostino Lelli-Mami usava invece una macchina fotografica a lastre per il formato 9x12 centimetri, ingombrante e poco adatta alla fotografia d’azione. L’autore aveva individuato proprio nelle lastre negative di questo formato il miglior compromesso tra le esigenze operative della ripresa e la definizione indispensabile in fase di stampa.

L’ombra del fotografo, talvolta presente nella parte inferiore di alcune immagini, rivela il suo modo di eseguire le riprese a mano libera, tenendo la macchina in posizione bassa e controllando l’inquadratura dall’alto, attraverso il piccolo mirino a specchio. Tutte le regolazioni dell’apparecchio fotografico dovevano essere eseguite manualmente e con precisione: cogliere al volo momenti e situazioni difficilmente ripetibili richiedeva grande perizia e prontezza.

Una buona conoscenza tecnica non è però sufficiente a realizzare buone fotografie, è solamente il primo passo: è necessario saper mettere sulla stessa linea di mira l’occhio, il cervello e il cuore, come affermava Henri Cartier-Bresson. Occorre aver interiorizzato la tecnica in modo tale da potersene servire automaticamente, senza pensarci, concentrandosi solo su ciò che si vede e sull’immagine che si vuol registrare nella materia e nella forma di una fotografia. Così lavorava, o per meglio dire “si dilettava” Agostino Lelli-Mami, riuscendo a ottenere immagini espressive, quasi vive, piene di atmosfera, doti alquanto rare in molte foto d’epoca. Era persona attenta, pronta a cercare e a notare rapidamente ciò che era degno di interesse oppure insolito.

La capacità di ricerca e la curiosità sono doti essenziali per il fotografo, che deve “saper guardare” e “saper vedere” per poi far guardare e far vedere attraverso le proprie immagini. La forza espressiva della fotografia consiste proprio nell’offrire alla nostra vista ciò che gli occhi, il cervello e il cuore di un altro hanno visto per noi, nel darci la possibilità di entrare gradualmente nella profondità dell’immagine fino a lasciarla dialogare con chi la osserva attentamente. A ogni successiva “lettura” scopriremo qualcosa di diverso o di nuovo, come fosse un piccolo e complesso mondo da esplorare, ricco di informazioni e di sorprese. Un piccolo mondo che diventa quasi un universo quando ci si trova di fronte a una serie di immagini dello stesso fotografo, riguardanti uno stesso tema, che iniziano a dialogare con noi e al contempo a dialogare tra loro.

Nel piccolo mondo di Cesenatico agli inizi del Novecento le classi sociali appaiono nettamente divise, eppure si incontrano: nelle barche ormeggiate nel porto canale, oppure nella spiaggia che, da semplice riva del mare o approdo per la pesca alla tratta, si trasforma gradualmente nel “territorio del villeggiante”. Agostino Lelli-Mami coglie con prontezza queste occasioni di incontro, realizzando immagini che esprimono con semplicità e naturalezza momenti e luoghi di contatto, senza sottolineature e senza retorica. Ma la classe sociale presa di mira dal fotografo è soprattutto la sua, quell’agiata borghesia che scopre i vantaggi della villeggiatura al mare, che acquista le nuove ville, appena costruite a una giusta distanza dalla spiaggia, secondo i criteri stabiliti da un moderno piano regolatore predisposto dal Comune. Gli eleganti villini, quasi miniature delle prestigiose ville edificate intorno alle città, vengono per così dire “censiti” da Lelli-Mami, che li ritrae in rapporto a un contesto territoriale inizialmente semideserto, ma razionalmente progettato, che si dota rapidamente delle infrastrutture più opportune e del necessario verde.

Anche Agostino Lelli-Mami acquista un villino, che diventa spesso il fondale di scena di fotografie di gruppi di famigliari e amici, o dei suoi mezzi di trasporto, dal calesse alle biciclette, fino all’automobile. La curiosità del fotografo è particolarmente attratta dalle abitudini dei nuovi villeggianti alle prese con la “vita di spiaggia”: ce li mostra agli inizi del secolo, un po’ impacciati, coperti da pesanti accappatoi bianchi, in atteggiamenti quasi statuari, ma assai più liberi e sicuri di sé pochi anni dopo e pronti a farsi ritrarre tranquillamente in costume da bagno verso gli anni Trenta. In questa serie di fotografie il genere del reportage si fonde spesso con la più semplice e spontanea foto di famiglia, destinata all’album fotografico, vero e proprio racconto per immagini della vita e della storia famigliare.

La sensibilità del fotografo e la sua formazione artistica lo portano naturalmente a dedicarsi alla Cesenatico marinara, al porto canale e alle sue barche a vela, ma non solo per le qualità fotogeniche di quei soggetti, anche per mostrare la vita che si svolge sulle barche e accanto a esse: i marinai che issano il timone con il paranco, la barca appositamente inclinata per riparare la carena, la lunga fila di persone (probabilmente in attesa di lavoro) accanto all’edificio del Regio Genio Civile, al di là delle imbarcazioni ormeggiate; oppure la vita del porto, con la vendita del pesce e lo scarico del legname dai trabaccoli da trasporto. All’occhio attento del fotografo non sfugge nemmeno la curiosa scena della pittrice che dipinge seduta in barca, o quella del marinaio intento a cucinare la polenta sotto lo sguardo del cagnolino di bordo.

Oltre alle barche da lavoro, compaiono anche le barche da diporto, quelle attrezzate per le gite dei villeggianti, quelle in miniatura per i giochi dei bambini, oppure la curiosa imbarcazione a vela dotata di galleggianti simili ai tubolari degli attuali gommoni. E, infine, il tipico e onnipresente “moscone”, elemento scenografico caratteristico che compare di frequente nei ritratti di gruppo in spiaggia e in mare.

Tutte le immagini pubblicate nel volume, tranne una, sono state tratte direttamente dalle lastre negative dell’archivio, acquisite e digitalizzate mediante scansione. Con questa tecnica, il passaggio da negativo a positivo può venire eseguito e perfezionato da programmi per l’elaborazione delle immagini [si veda in proposito, nel prosieguo del testo, il contributo di Giusy Arvizzigno, ndr]. Del tutto diverso era, all’epoca, il lento e accurato procedimento di stampa su carta fotosensibile svolto pazientemente in camera oscura, mediante il quale veniva prodotta l’immagine positiva. Il fotografo poteva apportare numerose correzioni, che nella maggior parte dei casi erano limitate alla regolazione della luminosità e del contrasto, al livellamento della linea dell’orizzonte e al ritaglio o marginatura dell’immagine, per migliorarne la composizione o per eliminare dai bordi elementi di disturbo di varia natura.

Il fotografo poteva scegliere se stampare a contatto, come si usava nel secolo precedente, oppure per ingrandimento, tecnica che rendeva più agevole la correzione dell’inquadratura o l’amplificazione dimensionale di una porzione del fotogramma negativo. Un ulteriore intervento era la cosiddetta “spuntinatura”, con cui si eliminavano dalla copia positiva i puntini bianchi dovuti alla presenza di polvere sulla lastra; veniva eseguita a matita o mediante un minuscolo pennello.

I professionisti e i dilettanti più esperti potevano anche intervenire correggendo la densità dei negativi non correttamente esposti, oppure alterando i negativi stessi con delicati interventi di ritocco, eseguiti con l’intenzione di abbellire i soggetti ritratti; si rischiava però di mettere a repentaglio, in caso di errore, un’immagine unica e irripetibile. Gli attuali sistemi di fotoritocco digitale rendono queste tecniche tradizionali soltanto più precise e veloci; soprattutto, poiché si interviene su di una riproduzione elettronica, non comportano alcun rischio per l’originale fotografico, che rimane sempre e comunque integro, e nemmeno per la scansione originale, che viene accuratamente conservata senza modificarla.

Per ragioni prevalentemente filologiche, si tende generalmente a pubblicare le fotografie storiche così come si sono conservate, senza fare distinzione tra negativi e positivi, offrendo in tal modo al lettore un’ampia casistica di difetti e di situazioni di degrado. In questo caso, trattandosi di negativi, si è invece preferito prendere in esame il problema e si è deciso di eseguire, su apposite copie dei file delle scansioni, una serie di interventi di finitura e in taluni casi anche di restauro “virtuale”. Si è tenuto conto che Agostino Lelli-Mami sviluppava e stampava abitualmente le proprie fotografie; pare avesse una buona esperienza in merito, lavorando in camera oscura sia nell’abitazione di città, sia nella casa di campagna, e seguendo i consigli di amici professionisti.

La qualità e l’accuratezza della sua tecnica stampatoria è testimoniata, in questo volume, dall’unica stampa qui pubblicata, che rappresenta una signora sulla scalinata del Grand Hotel di fronte a un’automobile che sembra attenderla: una stampa davvero perfetta. Se avesse avuto l’occasione di pubblicare un libro fotografico su Cesenatico, Lelli-Mami avrebbe certamente stampato i suoi negativi con la massima cura e sulla carta migliore, per poter consegnare alla tipografia immagini ineccepibili, proprio come la stampa appena citata. Sottoponendo le scansioni dei negativi a un intervento di finitura si è fatta così una scelta di rispetto nei confronti dell’autore delle fotografie.

Occorre inoltre osservare che la presenza di difetti, imperfezioni o alterazioni, rallenta o impedisce l’analisi approfondita del contenuto e del significato dell’immagine, distraendo l’osservatore e deviandone l’attenzione proprio sugli elementi di disturbo. Nel caso di lastre spezzate, o di danni alla gelatina e all’immagine provocati da umidità, muffe o microrganismi, si è dovuto intervenire con un restauro virtuale, che è stato accuratamente eseguito tramite un programma professionale di fotoritocco, mediando tra i criteri deontologici del restauro pittorico, adottati come linee guida, e la prassi di intervento nel ritocco fotografico. Per fare un esempio, le lacune dell’immagine presenti nelle zone a tonalità uniformi, come il cielo, sono state riempite con la tonalità di grigio contigua. Altre lacune, contenenti porzioni di immagine perdute, sono state sostituite con una tonalità di grigio che si avvicina alla tonalità media circostante, in modo da non creare un disturbo visivo, come avviene con la “tinta neutra” adottata nel restauro pittorico.

Le immagini così rifinite lasciano percepire più nettamente le espressioni delle persone ritratte: le vediamo naturali, spontanee, a volte anche rilassate, come in sintonia con il fotografo che sta loro di fronte, un personaggio indubbiamente conosciuto e simpatico, in grado di metterle a loro agio. Queste immagini mettono pure in risalto le differenze di atteggiamento di fronte all’obiettivo da parte delle diverse generazioni, che vediamo a confronto in un’interessante foto di gruppo: le persone anziane appaiono immobilizzate in posa, mentre i giovani si esibiscono in atteggiamenti spigliati, spiritosi, quasi provocatori. Ci fanno scoprire, in uno scorcio degli anni Trenta, uno stile di vita in spiaggia incredibilmente somigliante a quello che verrà trent’anni più tardi.

[Riccardo Vlahov]


Il restauro virtuale applicato alla fotografia

Nel settore della fotografia non di rado capita di trovarsi di fronte a casi di “restauro impossibile”, ovvero casi in cui i dati originari non possono essere ripristinati interamente attraverso le tecniche ordinarie di restauro. La causa risiede nella natura stessa del medium fotografico. Poiché infatti la fotografia è generata da una serie di reazioni chimico-fisiche, eventuali lacune possono essere reintegrate esclusivamente con materiali e tecniche ben differenti da quelli autentici: il risultato finale potrà dunque essere simile ma non uguale alla fotografia originale. 2

Si pensi per esempio ai negativi su lastra di vetro, come le fotografie di Agostino Lelli-Mami. Il loro restauro presenta non poche difficoltà, e si è ancora oggi alla ricerca di soluzioni soddisfacenti per far fronte soprattutto ai danni fisico-meccanici abbastanza frequenti a causa della fragilità del supporto. 3È in casi come questi che si può ricorrere al restauro virtuale. Si tratta di un intervento restaurativo “fuori dal comune”, che si differenzia radicalmente da quello materico sia per l’oggetto su cui espleta la propria azione, sia per il modus operandi e per le finalità dell’intervento. 4

A differenza del restauro reale, che opera direttamente sulla materia costitutiva dell’opera d’arte al fine di migliorare il suo stato presente e di prevenire le alterazioni nel tempo, quello virtuale è un’azione non reale, condotta esclusivamente, come indica il nome, nel campo della virtualità. Esso, dunque, con l’impiego di software grafici, opera soltanto sulla riproduzione digitale dell’opera d’arte, effettuandone un ipotetico ripristino: il fine ultimo è ottimizzarne la leggibilità. È necessario precisare, però, che effettuare un restauro di questo tipo non significa agire creativamente su un inestetismo, bensì ristabilire unicamente le verità certe, documentate. 5

L’utilizzo di programmi di image processing consente di realizzare operazioni altrimenti inattuabili, quali il ripristino del contrasto originale, l’integrazione delle parti abrase o mancanti, il recupero di particolari non più visibili a occhio nudo, ma anche di simulare un restauro manuale valutandone così preventivamente i risultati. 6In questo modo si possono superare le carenze tecniche di un restauro condotto nel campo del reale, e anche tutta una serie di complicazioni e di rischi a esso connessi, garantendosi nel contempo la libertà di azione (vengono meno i famosi princìpi di Cesare Brandi), il rispetto della materia, la reversibilità, ma anche l’ottimizzazione dei tempi e la riduzione dei costi. 7

Un intervento di tipo virtuale è stato condotto su alcuni negativi su lastra di vetro di Agostino Lelli-Mami. È bene precisare che elementi imprescindibili per la realizzazione di un buon restauro virtuale sono la massima risoluzione dell’immagine e il suo ingrandimento, necessari per cogliere anche le più piccole imperfezioni. Un valido aiuto per uno studio esatto della superficie fotografica e dei suoi “difetti” è fornito certamente da un’osservazione della fotografia reale. A scopo esemplificativo si mostra uno degli esemplari restaurati con l’utilizzo di Adobe Photoshop CS5.

In un primo momento si è intervenuti su zone circoscritte dell’immagine, al fine di eliminare le imperfezioni locali, come le macchie e le striature (che si possono notare nella prima fotografia della galleria allegata a questo articolo). Attraverso la selezione della fascia più scura sulla destra e la regolazione delle curve si è potuto procedere allo schiarimento e alla riduzione del contrasto, ottenendo così un’immagine interamente leggibile (come si vede nella seconda fotografia). Si è proceduto quindi con un’operazione globale riguardante gli aspetti colorimetrici dell’immagine. Con la rimozione delle ombreggiature del cielo, evidenti in modo particolare nell’angolo sinistro, e la regolazione della luminosità e dei contrasti, si è ottenuta un’immagine dallo sfondo uniforme e dai contorni ben definiti, che ha messo in luce una quarta barca sull’estrema destra, visibile solo ingrandendo l’immagine (come si vede nella terza). Questo esempio, per quanto limitato, dimostra come, pur nel rispetto della fotografia originaria, si sia riusciti a valorizzarla e a darle nuova vita. L’immagine ora è scevra di elementi che ne disturbino la lettura e l’osservatore può finalmente focalizzare la propria attenzione esclusivamente sul soggetto.

[Giusy Arvizzigno]


Note

( 1) Il volume va ad aggiungersi ad altri due libri su Lelli-Mami pubblicati negli anni scorsi: Agostino Lelli-Mami fotografo amatoriale, a cura di G. Benassati e G. Boni, Cesena, SILA, 1994; Agostino Lelli-Mami dilettante fotografo cesenate: immagini tra Ottocento e Novecento, a cura di G. Lelli-Mami, Cesena, SILA, 2009.

( 2) S. Berselli, L. Gasperini, L’archivio fotografico, Bologna, Zanichelli, 2000, pp. 171-172.

( 3) M. Estrada, A. Laudisa, M. Zacchi, I negativi in bianco e nero in Il restauro della fotografia, a cura di B. Cattaneo, Firenze, Nardini, 2012, pp. 102-104.

( 4) C. Chirici, Il restauro virtuale: più vero del vero, “Parol”, maggio 2009: www.parol.it/articles/chirici.htm.

( 5) D. Bennardi, R. Furferi, Il restauro virtuale. Tra ideologia e metodologia, Firenze, Edifir, 2007, pp-13-15, 63-64.

( 6) V. Cappellini, La realtà virtuale per i beni culturali, Bologna, Pitagora, 2000, p. 5. Questa azione svolta dal restauro virtuale è fondamentale soprattutto nel campo della pittura; mediante filtri ottici, per esempio, è possibile conoscere le diverse componenti cromatiche usate dall’artista e avanzare ipotesi sui materiali e sui composti pittorici utilizzati.

( 7) Cesare Brandi (1906-1988), storico e critico d’arte, ha dettato le regole basilari per l’esecuzione di una corretta opera di restauro. In base a queste regole il restauro deve essere: minimo, ovvero eseguito solo se strettamente necessario; reversibile, cioè eseguito in modo da possibile un ritorno al punto di partenza; riconoscibile, quindi ben distinto dalla parte originale dell’opera; compatibile con i materiali originali. Per approfondimenti si veda: C. Brandi, Teoria del restauro, Torino, Einaudi, 1977.



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