Rivista "IBC" XXI, 2013, 1

musei e beni culturali / corrispondenze, didattica, progetti e realizzazioni

Musei e giovani: in Italia, ancora un appuntamento mancato. In Europa, invece, si affermano forme stabili di collaborazione e di dialogo. Tre casi in Olanda, Danimarca e Galles.
Al prossimo incontro

Sara Maccioni
[laureata in Didattica del museo e del territorio all'Università di Roma - La Sapienza]

Chiunque si trovi a frequentare i musei, o abbia fatto del museo la propria professione, non potrà non constatare che i giovani italiani ancora oggi sono i grandi assenti fra i pubblici. Eppure hanno alle spalle una ricca esperienza dentro le sale del museo, vissuta da bambini, con la scuola o insieme alla propria famiglia: in molti conoscono questa istituzione e hanno avuto tempo per instaurare con essa un rapporto. Ci si aspetterebbe, insomma, che essa accompagni in modo naturale il piccolo visitatore in una nuova fase della sua vita, l'età giovanile. È questo invece il momento che segna il punto di rottura, l'incontro mancato.

Mancato perché, potenzialmente, quell'incontro potrebbe avvenire: il museo racchiude in sé la possibilità di soddisfare le esigenze di questo che, tuttora, risulta un "non pubblico". Ancora oggi esso può essere luogo di formazione personale, di confronto con la memoria, di ispirazione per apprendere valori civili e nuovi modi di guardare alla realtà. Un luogo che oggi può essere fonte di identificazione ma anche di svago.

Un giro per i musei italiani rivela in effetti quanto l'Italia si interroghi e avanzi proposte per una didattica museale a misura di giovane, realizzando esperienze di grande qualità, che spesso però sono sporadiche, quasi mai continuative nel tempo.1 Lavorare con questo pubblico, d'altro canto, rappresenta una sfida: il museo deve saperla cogliere se intende realmente diventare inclusivo e accogliente, ma per farlo deve essere capace di riunire in sé la natura del tempio, per non dimenticare la sacralità del luogo di memoria e di bellezza, e quella del forum, immagine quanto mai attuale di uno spazio che dà voce al visitatore, alle sue esperienze e ai suoi valori, un luogo in cui creare e condividere conoscenza attraverso il confronto.

Ma in che modo dar voce ai giovani dentro al museo? Il dibattito intorno alle esigenze del così ribattezzato "pubblico invisibile" si è sviluppato da tempo e, mentre in Italia si moltiplicano una pluralità di voci - che arricchiscono le riflessioni ma non danno concretezza e continuità alla strada intrapresa - il contesto internazionale si arricchisce invece di esperienze, strategie e buone pratiche che sembrano conquistare i giovani utenti, trasformandoli in pubblico museale.


Tre realtà meritano l'attenzione di chi intende ringiovanire l'Italia dei musei: la Galleria nazionale della Danimarca, lo Stedelijk Museum in Olanda, i Musei nazionali del Galles. Tre grandi istituzioni così diverse fra loro ma accomunate da una didattica forte e ben radicata, che ha saputo osare, raggiungendo risultati di ottima qualità.

A Copenaghen, dal 2007, viene rinnovato di anno in anno lo "Unges Laboratorier For Kunst (ULK)", letteralmente "Laboratori d'arte per i giovani". L'idea e dunque il nome nascono dagli spazi dedicati ai laboratori didattici nei musei, di solito destinati alle attività con i bambini: "ULK" individua allora, tra le sale del museo, un luogo di cui i giovani si possano impossessare e in cui si possano riconoscere. Il progetto è rivolto ai giovani dai 15 ai 25 anni, provenienti da Copenaghen, e prevede la formazione di una comunità, di solito 15 membri, che si riunisce una volta alla settimana insieme al personale del museo per organizzare iniziative di vario tipo (www.smk.dk/udforsk-kunsten/unges-laboratorier-ulk/).

Ad Amsterdam l'idea di dar voce ai giovani dentro al museo nasce dalla tesi di laurea di Marlous Van Gastel, storica dell'arte che nel 2006 ha discusso una tesi sulla rilevanza sociale del museo oggi, in particolare nel mondo dei giovani. Prendeva vita così, a partire dal 2008, il progetto "Blikopeners", parola traducibile come "apriscatole". La parola blik indica la vista o la prospettiva, mentre openers letteralmente significa "coloro che aprono": i "Blikopeners" sono allora un gruppo di giovani capaci di aprire i propri occhi e la propria mente a nuove idee e a nuovi modi di vedere e vivere il museo e l'arte, e di trasmettere all'esterno quello che hanno compreso. Il gruppo - età dai 15 ai 20 anni, proveniente da tutta Amsterdam - vive un'esperienza di circa un anno a stretto contatto con il museo, ricevendo un rimborso spese. I ragazzi riflettono su come attirare il pubblico dei loro coetanei, attraverso la formazione e l'azione sul campo, con workshop, visite guidate, eventi, progetti di comunicazione (www.stedelijkindestad.nl/projects/blikopeners).

I Musei nazionali del Galles hanno gettato le basi per la creazione di un pubblico giovanile agendo, in questo caso, sui contesti periferici, con un ambizioso progetto a cui hanno dato il nome di "On Common Ground", "Su un terreno comune". L'obiettivo, infatti, è far sentire i ragazzi e le ragazze coinvolti (dai 16 ai 24 anni) uniti da una stessa identità e una stessa provenienza, al di là dell'origine etnica, dello status sociale o del contesto di appartenenza. A differenza dei progetti sviluppati in Danimarca e Olanda, l'iniziativa gallese è un outreach che opera in contesti periferici e spesso disagiati ed è maggiormente articolato, suddividendosi territorialmente in 55 progetti diversi, che i gruppi di lavoro locali plasmano strada facendo in relazione alle realtà culturali presenti in loco (www.oncommonground.co.uk/home.htm).


Tre realtà museali e tre proposte decisamente diverse sono la concreta dimostrazione che è il museo a poter fare la differenza nel difficile rapporto con gli adulti di domani. E mentre in Italia ancora ci si domanda dove si possano trovare i giovani e quali siano le strategie di coinvolgimento più appropriate, l'Europa dimostra che raggiungere i giovani è possibile e non è nient'affatto difficile.

La Galleria nazionale della Danimarca ha agito su due fronti: il tramite della scuola e un sito web, utilizzati per informare i giovani della possibilità di entrare a far parte di "ULK" e per incrementare l'affluenza di questo pubblico nelle sale del museo. Il progetto è stato quindi pubblicizzato durante le visite scolastiche al museo e attraverso gli insegnanti, presentandone le attività e gli eventi e invitando gli interessati a candidarsi per diventare membri del gruppo dei giovani volontari. Il sito web (che ora è in fase di riallestimento) è stato inaugurato nel 2007 parallelamente al lancio del gruppo e si proponeva di far vivere le proposte anche virtualmente, attraverso un continuo aggiornamento sulle attività svolte al museo; alla comunità reale in loco, inoltre, il sito tenta di aggiungere, attraverso un blog, una comunità virtuale: gli utenti si possono iscrivere e creare un proprio profilo in cui evidenziare i propri interessi personali per ogni forma d'arte e condividerli con altri utenti (sul modello dei social networks come Facebook o MySpace).

Il gruppo dei "Blikopeners" si forma invece a partire dagli annunci che lo staff del museo espone nelle scuole, nelle associazioni culturali, sul sito del museo, e nei centri culturali giovanili. La selezione del gruppo segue il criterio della diversità: di sesso (vengono selezionati in equa misura ragazzi e ragazze), origine etnica, provenienza di quartiere, interessi, retaggio culturale ed età. L'intento è creare una comunità di giovani interna al museo, con opinioni e voci diverse, potenzialmente in grado di attirare a loro volta target diversi di pubblico.

Particolarmente strutturata è stata la campagna pubblicitaria e di reclutamento dei giovani prevista per il progetto "On Common Ground", che è stato presentato con mezzi alquanto differenziati e con un vero e proprio "bombardamento pubblicitario": dal sito web alla distribuzione di volantini, dai manifesti pubblicitari agli annunci sulle radio locali, dalla stampa alla televisione, dalle scuole alle organizzazioni locali operanti con giovani svantaggiati.


Tre approcci diversi per un obiettivo comune: parlare il linguaggio giovanile. Se pur caratterizzati in modo differente e con note di vera originalità, questi progetti adottano un analogo approccio costruttivo, che appare sempre più la chiave perché si apra il dialogo fra pubblici e museo. Un dialogo arricchito, dato il tipo di pubblico, dal metodo educativo della peer education.

A Copenaghen il gruppo dei giovani volontari realizza, insieme allo staff del museo, la progettazione di visite guidate, workshop ed eventi, preceduti da un periodo di formazione: i giovani vivono così "dietro le quinte" del museo e comprendono come soddisfare le esigenze di altri giovani, oltre che le proprie. Prende vita, così, l'esperienza dell'"ULK", in cui ogni piccolo particolare è ideato e realizzato dai giovani volontari: dalle tante attività "tecnologiche" (ai visitatori, per esempio, viene chiesto di trovare la colonna sonora di un'opera d'arte attraverso il proprio lettore MP3, o di immortalare con la propria macchina fotografica un dettaglio) a un luogo dedicato in cui incontrarsi, il "Lab00", la sala strutturata a misura di giovane.

Allo Stedelijk Museum il gruppo dei "Blikopeners" ha fatto dell'identità il suo baluardo: hanno progettato la sala per i giovani interna al museo, hanno scritto un proprio manifesto e disegnato il marchio con cui "firmano" le iniziative da essi ideate. Anche per loro è prevista una serie di incontri di formazione con lo staff interno del museo e professionisti esterni, attraverso i quali imparano le tecniche di lettura di un'opera d'arte e che cosa significhi apprendere attraverso un'esperienza museale soddisfacente. Da sessioni di brainstorming e dai post-it su cui i membri del gruppo scrivono le proprie idee e al contempo le votano utilizzando colori diversi (un metodo ormai abituale per i frequentatori dei "Blikopeners") hanno origine le visite animate e i laboratori, gli art talks e gli speed datings sull'arte. Come pure gli eventi serali, che non sono nient'affatto svincolati dai contenuti e dall'identità del museo ma anzi diventano un'occasione per sentirsi accolti finalmente in qualità di pubblico.

Infine incontriamo quel gruppo di 500 giovani gallesi, di adozione o di nascita, che "On Common Ground" catapulta nel mondo della cultura locale e museale. Obiettivo del progetto è sensibilizzare e far conoscere ai giovani la cultura del proprio territorio, per costruire responsabilità e identità. E il progetto trova un metodo vincente scegliendo la via del contesto informale per eccellenza: sono le organizzazioni giovanili locali e gli artisti emergenti a guidare altri giovani in questa esperienza. Un'esperienza basata sulla formazione di una comunità locale, che ne rende protagonisti i membri: sono i giovani coinvolti a decidere i temi da trattare e le attività artistiche attraverso cui avvicinarsi al mondo della cultura. Sono ancora loro a progettare, sulla base delle proprie competenze e dei propri gusti, il proprio percorso di apprendimento, che si concretizza in visite nei luoghi della cultura, o nella realizzazione di laboratori artistici e di mostre aperte al pubblico.

E se si osservano più da vicino queste tre proposte si vedono tanti giovani che hanno messo da parte l'immagine tradizionale del museo come relitto impolverato, per scoprirlo come luogo accogliente, da vivere in pieno. Si incontrano giovani che il museo è andato a conquistare fuori dalle sue sale, per proporsi come una realtà che ha un legame con la contemporaneità. E si scopre un museo che guarda ai giovani come risorsa e non come problema su cui intervenire, mettendosi in ascolto delle loro voci ed entrando in contatto con il loro mondo.

Le buone pratiche nel lavoro con i giovani esistono, così come esiste da parte loro la voglia di mettersi in gioco. Conosciamo i loro gusti, le loro necessità educative e culturali, la loro identità. Al museo italiano non resta altro da fare se non agire sul campo con continuità, affinché diventi un'abitudine pensare ai giovani come a un tipo di pubblico particolarmente stimolante.


Nota

(1) Il dibattito italiano è vivo da diversi anni e dimostra quanto nel tempo sia maturata una grande sensibilità nei confronti dei giovani e delle loro esigenze; il confronto individua i limiti della didattica museale italiana e riconosce le risorse e le potenzialità a cui fare riferimento perché si crei un pubblico più giovane. Tante sono state le occasioni di confronto, da cui sono scaturite importanti pubblicazioni di riferimento per i professionisti del settore:

· Il museo verso una nuova identità. I. Esperienze museali di nuova concezione in Italia e nel mondo; II. Musei e comunità. Strategie comunicative e pratiche educative, atti del convegno internazionale di studi (I, 2007; II, 2008), coordinamento scientifico di M. Dalai Emiliani, Roma, Gangemi Editore, 2011;

· C. Da Milano, I. Del Gaudio, M. De Luca, G. Franchi, V. Galloni, I giovani e i musei d'arte contemporanea, Ferrara, EDISAI, 2011;

· A. Cicerchia, I giovani fra creatività e consumi culturali, "Economia della Cultura", 2008, 1, pp. 7-14;

· A. Bollo, I pubblici dei musei. Conoscenza e politiche, Milano, FrancoAngeli Edizioni, 2008;

· Musei giovani. Idee, progetti e passioni, atti del convegno (Modena, 24 novembre 2006), Modena, Provincia di Modena, 2007;

· M. Sani, A. Trombini, La qualità nella pratica educativa al museo, Bologna, Editrice Compositori, 2003.

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