Rivista "IBC" XVIII, 2010, 2

Dossier: Che il viaggio non sia stato inutile - Il Novecento: storie, memorie e luoghi

musei e beni culturali, territorio e beni architettonici-ambientali, dossier /

Monte Sole: ecologia del ricordo

Celestino Porrino
[docente di Urbanistica all'Università di Bologna]

Il fronte bellico trincerato sulla Linea Gotica ha incontrato sull'Appennino bolognese intorno a Monte Sole, nell'autunno del 1944, il territorio ove dar corso ai più indiscriminati esercizi della guerra terroristica contro la popolazione civile. Più di cento luoghi di questa zona abitata, com'è noto, sono stati teatro di una violenza senza pari; una zona ulteriormente colpita, poi, anche da altri gravi eventi bellici. Monte Sole diventa così il vertice dell'efferatezza dell'intera Linea Gotica, o forse di tutto il fronte occidentale. A pieno titolo, pertanto, questi luoghi oggi sono generalmente riconosciuti come simbolo esemplare, votato alla memoria della violenza e all'educazione alla pace. Per questo, nel 1989, è nato il Parco storico regionale di Monte Sole. Nel suo Memoriale, cuore e ragione stessa del Parco, esso custodisce quella tragica memoria storica: con grande dignità, in un ambiente e in un paesaggio di struggente bellezza.

Con intenzioni eminentemente educative, il Parco ha quindi deciso di sviluppare un progetto particolareggiato per la sistemazione e la conoscenza dei luoghi della memoria, un progetto di coordinamento che sta alla base dei diversi interventi di restauro ambientale attualmente in corso. Un'iniziativa di questo genere, naturalmente, apre subito una riflessione su che cosa significhi, oggi, intervenire per salvaguardare luoghi della memoria di tale importanza: quali principi, quali criteri, quali metodologie d'intervento questo comporti. Pur intendendolo nel senso concreto di "ambito territoriale" che include la maggior parte delle principali testimonianze di quegli eventi storici, il termine "memoriale" significa infatti, propriamente, una "narrazione di eventi ritenuti meritevoli di memoria da parte di chi ne ha conoscenza diretta". Ciò che ci suggerisce la prima domanda: quale genere di memoria e quale tipo di narrazione possano costituire il progetto del Memoriale.

Nella Recherche proustiana, per esempio, si hanno due generi di memoria. Una memoria sentimentale, tesa a richiamare non tanto i fatti in sé, quanto quelli che intendiamo ricordare, per come desideriamo ricordarli, attraverso il filtro della nostalgia. E una memoria razionale, oggettiva e condivisa, che invece attiene solo all'esatta narrazione dei fatti realmente accaduti. Siccome nessuna nostalgia può esserci per gli eccidi, le distruzioni, la violenza, è certo una memoria razionale quella di cui abbiamo bisogno, per mettere chiaramente al centro della visita al Memoriale la conoscenza e la coscienza dei fatti ai quali esso è dedicato. Poi c'è la loro narrazione, da parte di chi ne ha avuto esperienza diretta; e, in questo caso, chi se non il territorio stesso? Il soggetto narrante, meglio e più oggettivamente di ogni altro, è per noi proprio il territorio, che dei fatti ha conoscenza diretta, e dolorosamente ne reca i segni, evidenti e tangibili. Nel mestiere dell'urbanistica, del resto, siamo abituati a leggere il territorio: e a farlo partendo dalle testimonianze concrete riconoscibili in questo libro di pietre.

Consideriamo pure il territorio come un palinsesto, nel senso degli antichi: una pergamena sulla quale si scriveva e riscriveva continuamente, raschiando le scritture precedenti, e riutilizzando ancora il supporto. Giacché non è diversa l'azione dell'uomo sul territorio: ogni sua trasformazione è una riscrittura, su un contesto già scritto in precedenza tante volte; dove però le scritture precedenti non sono mai del tutto cancellate. Se la guerra e le stragi hanno raschiato in profondità la pergamena, resta pur sempre ancora leggibile, nella stratificazione, qualcosa dei segni che c'erano prima. Con il progetto del Memoriale, allora, si trattava di comprendere quale tipo di intervento fisico, sui quei luoghi, si potesse e dovesse prevedere. Rifiutando però - questo è stato chiaro fin dall'inizio - le due ipotesi estreme: sia la ricostruzione di quello che c'era prima, come se nulla fosse accaduto (il che significherebbe, di fatto, nessuna memoria degli eventi memorabili); sia il mantenimento dello status quo determinatosi dopo quegli eventi, uno status che tuttavia, a causa dell'abbandono e della rinaturalizzazione successivi, veniva a sbiadire e a confondersi sempre più in una memoria nostalgica, dove il trascorrere del tempo, poco a poco, tenderebbe ad allontanare la percezione degli eventi a cui il Memoriale è dedicato.

In altri termini, perciò, la scelta non è stata quella di "ripassare e rinnovare" i segni pregressi di un palinsesto sul quale, in modo perentorio, sono stati iscritti i tragici eventi successivi; ma nemmeno di accettare "romanticamente" la loro totale cancellazione a opera del tempo e della natura. Si è scelto piuttosto di operare interventi sensibili di leggera rimessa in evidenza di qualcosa che la violenza ha cancellato: qualcosa che però non mai cancellato del tutto, giacché qualche traccia è pur sempre leggibile. Proprio quelle tracce sono infatti la concreta e oggettiva dimostrazione della portata degli eventi storici memorabili (memoria razionale, dunque). In quanto lo scarto tra ciò che c'è oggi e ciò che c'è stato rappresenta la misura tangibile degli eventi memorabili.

Quelle tracce costituiscono oggi uno strato del palinsesto in cui i segni violenti del recente passato devono restare comunque leggibili, e mai dovrebbero essere cancellati. Segni che, nell'attuale lettura, per chiarezza, consideriamo ascrivibili a talune concrete categorie dell'insediamento umano. In particolare: reperti e ruderi conseguenti alle distruzioni, e consolidati in quella situazione; segni a terra di quello che c'era e che non esiste più, quali documenti del vissuto di uno spazio abitabile; segni di percorso e segni di confinazione, ossia di una precedente organizzazione del territorio; segni di coltivi, a testimonianza della vita drasticamente interrotta (ma forse non definitivamente estinta, finché c'è un albero da frutta o un filare di vite!).

Però tutto questo non basta. Giacché la memoria razionale che sta alla base della nostra narrazione richiede anche di ricostruire, e rendere disponibile come indispensabile informazione al visitatore, l'esatta cronaca dei fatti: le date, i nomi, gli autori; fatti che appunto "nel luogo" trovano la loro effettiva verità storica. Il luogo stesso è il monumento: moneo et memento. Sulla storia del massacro di Monte Sole, in passato, si è formata un'ampia letteratura: tuttavia spesso imprecisa, lacunosa o troppo ideologica (e quindi poco utilizzabile). La recente ricerca di Luca Baldissara e Paolo Pezzino,1 per la prima volta, fornisce una completa documentazione storica della vicenda, analizzata con metodo scientifico, dagli eventi delittuosi fino alla loro faticosa conclusione giudiziaria. Una ricerca finalmente mirata con esattezza all'esigenza della verità storica, con tutte le difficoltà che questa comporta. In un lavoro come quello del Memoriale, infatti, l'esigenza della verità storica è assolutamente ineludibile, giacché solo la verità può dare valore a una testimonianza.

Dal punto di vista urbanistico, il progetto del Memoriale consiste semplicemente nel restauro ambientale di un percorso, un itinerario in più tappe, che raccoglie in sequenza, nella dolcissima conca di Monte Sole, la maggior parte dei principali luoghi degli eccidi: un museo all'aperto, in un certo senso, un paesaggio della memoria, che dovrebbe rendere meglio comprensibili i luoghi stessi, e anche facilmente interpretabili quali habitat normali di una comunità normale, sradicata e annientata da una violenza inaudita. Sui ruderi, sui reperti, sui segni del passato, gli interventi restituivi - di tipo "archeologico" - sono soltanto quelli che servono a conservarli e tramandarli, fermandone la cancellazione tendenziale, ed evidenziando (quanto basta per la sensibilità del visitatore) quelli che sono gli "indizi" dei fatti accaduti. Tecniche semplici, appunto, naturali, senza apporti estranei.

Per ciascun luogo, pertanto, è poi essenziale anche una scheda storica che fornisca al visitatore la puntuale testimonianza della specifica memoria che lega i fatti al luogo: quello che c'era prima, e quello che è accaduto poi. Per offrire, attraverso questa testimonianza, la possibilità di rendersi conto appieno della drammatica distanza tra una realtà insediata - completa di funzioni, temi collettivi, elementi simbolici, tutto quello che ha accompagnato nel tempo la vita e la morte degli abitanti - e la reale portata della distruzione e del massacro.

C'è poi da considerare anche l'aspetto ambientale, che riguarda più in generale la funzione del Parco; aspetto che nel nostro caso è particolarmente necessario per inquadrare appieno il profondo significato dell'intervento sul Memoriale. Quello di Monte Sole è un parco molto grande (oltre 25 chilometri quadrati), che comprende al suo interno zone di cui è ben evidente l'interesse naturalistico. È quindi normale che, nella percezione sociale del parco, poco alla volta, ne siano emerse le due anime distinte: quella storica e quella naturalistica. E che qualche volta siano persino risultate in contrapposizione. Anche perché si tratta di una ben nota contrapposizione che, di fatto, attraversa tutta la recente formazione dell'ecologia come disciplina poliedrica. E che, in materia di parchi, ha prodotto un'ecologia antropocentrica da un lato, e un'ecologia biocentrica dall'altro; ciascuna - com'è noto, purtroppo - con i propri fondamentalismi. Mentre è facile constatare che l'approccio vincente, in prospettiva, può essere solo quello di fare sintesi.

Occorre insomma riconoscere che la forza di un parco sta nella concezione olistica dell'ambiente inteso in senso globale: ambiente di cui l'uomo fa sempre parte, con la sua storia, e in cui è solo la piena consapevolezza umana che può conservare in equilibrio ogni altra forma di vita presente. Questa osservazione non sembri fuori tema, giacché, concretamente, la forza di un parco sta nella sua capacità di porsi come un laboratorio dello sviluppo sostenibile; anzi, è meglio dire come laboratorio del futuro sostenibile. Dove s'intende sostenibile in senso ambientale, ma al tempo stesso in senso sociale, profondamente umano. Solo a queste condizioni il parco svolge pienamente la sua funzione ideale e civile, e dimostra di poter essere pienamente ciò che un parco "deve" essere: un'autentica espressione di democrazia.

Allora il contrasto (vero o presunto che sia), fra parco storico e parco naturalistico, svanisce. Nel nostro futuro sostenibile c'è la difesa della biodiversità, come pure ci sono la condanna della violenza e l'educazione alla pace: nel modello educativo e democratico del parco l'una e l'altra non sono separabili. E se il Parco di Monte Sole può essere - come vuole essere - un laboratorio del futuro sostenibile, esso ha il compito di tutelare insieme sia l'integrità dei processi biotici, e dunque la cultura della biodiversità, sia il rifiuto della violenza, e dunque la cultura della pace. Nessuna contrapposizione, anzi nessuna separazione, sarebbe accettabile: questo va affermato con forza. Nella misura in cui ricordare la verità sul massacro di Monte Sole fa bene alla cultura della pace, questo parco-laboratorio rappresenta anche un essenziale contributo per lo sviluppo di un'autentica (e umanissima) ecologia. Un'ecologia della memoria che sia, com'è necessario, effettivamente praticata, in scienza e coscienza.


Nota

(1) Il massacro. Guerra ai civili a Monte Sole, a cura di L. Baldissara e P. Pezzino, Bologna, il Mulino, 2009.

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